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NILTON FUKUDA / ESTADAO CONTEUDO / Agência Estado
Brian Acton, fondatore di WhatsApp
Parla Brian Acton. Per anni il co-fondatore di Whatsapp è stato in disparte. Il volto pubblico è sempre stato l’altro “padre”, Jan Koum. Il nome di Acton ha circolare soprattutto da quando ha lasciato Facebook, circa un anno fa. E poi lo scorso marzo, quando ha twittato #deletefacebook: scappate dopo il caso Cambridge Analytica.
Un messaggio forte e chiaro, perché proveniva da un ex interno. E una conferma alle indiscrezione che lo volevano lontano da Menlo Park dopo essersi scontrato con Mark Zuckerberg su privacy e pubblicità. Adesso Acton, per la prima volta, ha deciso di spiegare come sono andate le cose. Non con un hashtag su Twitter ma con una lunga conversazione con Forbes. Che racconta un pezzo di Facebook.
I motivi della rottura: privacy e pubblicità
“È andata più o meno così. Beh, voi volete fare queste cose che io non voglio. È meglio se mi faccio da parte. E l’ho fatto”. “Voi” sono Mark Zuckerberg e il suo braccio destro Sheryl Sandberg. “Queste cose” sarebbero un atteggiamento più disinvolto sulla privacy e la volontà di fare (molti) soldi tramite Whatsapp. Si tratta, in realtà, di due fili intrecciati.
Secondo il racconto di Acton, Facebook avrebbe spinto sempre di più per far fruttare l’enorme platea dell’app. Incontrando le resistenze dei fondatori. “L’impazienza”, così la definisce Acton, è cresciuta dal 2016. Zuckerberg sarebbe stato allarmato dal successo di Snapchat.
Le idee per iniziare a spremere Whatsapp è quella di offrire dati aggregati degli utenti. Acton non è d’accordo. Perché, pur mantenendo la crittografia end-to-end (che consente di leggere il contenuto dei messaggi solo a chi sta chattando), avrebbe di fatto compromesso la privacy degli utenti. Il co-fondatore di Whatsapp propone un’altra strada: far pagare qualche centesimo dopo un certo numero di messaggi. E permettere alle aziende di inviare messaggi “informativi” agli utenti, proibendo però la pubblicità basata sul tracciamento dei dati. La riposta di Sandberg sarebbe stata: no, perché è un modello incapace di “scalare”. Cioè di crescere e diffondersi.
Secondo Acton, il rifiuto si basava su altro: il suo sistema non avrebbe consentito di fare abbastanza soldi. “Sono bravi uomini d’affari”, afferma il co-fondatore di Whatsapp. “Ma rappresentano pratiche commerciali, principi etici e comportamenti con i quali io non sono d’accordo”. Acton lascia poco dopo l’annuncio di un programma pilota che puntava a far dialogare imprese e utenti. Dice di essersi reso conto che “gli sforzi per spingere i ricavi” stavano andando “a scapito del prodotto”. Una consapevolezza che, afferma, “mi ha lasciato con l’amaro in bocca” e lo ha portato alle dimissioni. A Forbes si dimostra quasi pentito. Non di aver lasciato Menlo Park ma di esserci arrivato. “In fin dei conti, ho venduto la mia compagnia. Ho venduto la privacy dei miei utenti. Ho fatto una scelta, ho accettato un compromesso. E ci convivo ogni giorno”. Assieme a un patrimonio da 3,6 miliardi.
It is time. #deletefacebook
— Brian Acton (@brianacton) 20 marzo 2018
Un addio da 850 milioni di dollari
L’addio non è stato indolore per il portafogli di Acton. E anche questo è parte del racconto, che svela anche i modi bruschi di Zuckerberg. Il fondatore di Whatsapp dice di non averci mai avuto un grande rapporto: “Non avrei molto da dire sul ragazzo”.
La rottura sembra una scena di The Social Network, il film di David Fincher che racconta la nascita di Facebook. Quando Acton fa sapere la volontà di andarsene, Zuckerberg lo convoca nel suo ufficio. Non è un tentativo di ricucire: tutt’altro. Alla scrivania del capo, infatti, c’è anche uno degli avvocati di Facebook. Per capire il suo ruolo, occorre fare un passo indietro. Quando il social network acquista l’app di messaggistica, nel 2014, i fondatori di Whatsapp firmano un accordo: parte di quanto dovuto sarebbe stato pagato loro in tranche, spalmate su quattro anni. In cambio di questa dilazione, Facebook avrebbe accettato di non monetizzare l’app, sempre per quattro anni. Cioè fino al febbraio 2018.
Se Zuckerberg avesse infranto l’intesa, avrebbe dovuto liquidare l’intera somma rimasta in blocco. Nel settembre 2017, Acton deve ancora incassare l’ultima “rata”: 850 milioni di dollari. È convinto di poterla ottenere nonostante le dimissioni. Perché Facebook avrebbe rotto l’accordo decidendo di fatturare con Whatsapp. Ecco giustificata la presenza del legale. Ad Acton quei soldi non spetterebbero perché il contratto parla di “implementare” iniziative per fare profitti. Mentre, in quel momento, Facebook le sta solo “esplorando”. Il messaggio che Zuckerberg fa passare è: “Questa è probabilmente l’ultima volta che parli con me”. Al più ci si vede in tribunale. Acton può aprire un contenzioso. Non lo fa. Rinuncia a 850 milioni e saluta. Ecco spiegato perché l’altro fondatore, nonostante idee comuni, decide di restare: Jan Koum si dimetterà nell’aprile 2018, poche settimane dopo aver incassato l’ultima tranche.
Coerenza o miliardi?
Certo, Acton non se la passava e non se la passa male comunque. È il 251esimo uomo più ricco del pianeta. E la fonte della sua fortuna è una: Facebook, che nel 2014 acquisisce per 22 miliardi di dollari una società che non produce alcun profitto. I primi contatti, racconta Acton, risalgono al 2012. Allora i due fondatori scrivevano sul loro blog che “oggi le aziende sanno letteralmente tutto su di voi, sui vostri amici, sui vostri interessi, e si servono di queste informazioni per vendere pubblicità. La pubblicità non è solo un’interruzione dell’estetica, è un insulto alla vostra intelligenza e un’interruzione dei vostri pensieri. Ricordate: quando si parla di pubblicità, il prodotto siete voi”.
Poi però arriva Zuckerberg con la valigia piena di miliardi. “Ci ha fatto un’offerta che non potevamo rifiutare”, spiega Acton a Forbes. I fondatori di Whatsapp si limitano a chiedere paletti sulla pubblicità (da qui l’accordo di quattro anni) e rassicurazioni sulla crittografia. Zuckerberg acconsente. L’accordo è fatto. Manca solo il via libera delle autorità europee, preoccupate di una eccessiva concentrazione di dati nelle mani di un solo gruppo. Per convincere l’Ue, spiega Acton, “sono stato istruito per spiegare che sarebbe stato davvero difficile unire o fondere i dati tra i due sistemi”. Scoprirà solo dopo che, già allora, Facebook stava progettando di unirli e sfruttarli.
Un attacco “squallido”
Zuckerberg non ha risposto. Lo ha fatto, a titolo personale e non a nome della società, uno dei manager più in vista di Facebook: David Marcus. Marcus è l’uomo che ha costruito il successo di Messenger. E oggi è a capo dei progetti di Menlo Park sulla blockchain. Ribatte alle accuse di Acton e non rinuncia al contrattacco. Facebook, sottolinea Marcus, è una delle compagnie dove i fondatori delle società acquisite restano più a lungo.
Per quattro e tre anni e mezzo quelli di Whatsapp. Per sei quelli di Instagram. “Il motivo principale è perché Mark li protegge personalmente, dando loro un’autonomia senza precedenti. Questo atteggiamento nei confronti dei fondatori e dei loro team a volte ha un costo per l’azienda”.
Mr Messenger fa un esempio: al loro arrivo, “i fondatori di WhatsApp hanno richiesto una diversa disposizione dell’ufficio. Scrivanie molto più grandi e spazi personali, regole di comportamento differenti, come il divieto di parlare a voce alta, e sale conferenze rese inaccessibili agli altri”. Scelte che “hanno irritato i dipendenti di Facebook, ma che Mark ha sostenuto e difeso”. Marcus tocca poi i due punti centrali nelle accuse di Acton: privacy e modello di business. Ricorda che “il lancio globale della crittografia end-to-end su WhatsApp è avvenuto dopo l’acquisizione e con il pieno supporto di Mark. Sì, Jan Koum ha svolto un ruolo chiave nel convincerlo sull’importanza della crittografia, ma da quel momento in poi non è mai stata in discussione. Ho visto Mark difenderla in una serie di riunioni interne in cui h avuto degli oppositori. Ma per motivi di sicurezza e mai per pubblicità o raccolta dei dati”.
Per quanto rigurda il modello alternativi proposto dal fondatore di Whatsapp, Marcus dichiara di essere stato “presente a molti incontri” sul tema. “Ancora una volta, Mark ha protetto WhatsApp molto a lungo”. Nonostante “le aziende bussassero alla porta per avere la stessa capacità di comunicare con i loro clienti che stava sviluppando Messenger”. Durante questo periodo, continua Marcus, Acton ha ricevuto gli strumenti per far crescere la sua app secondo quanto gli era stato promesso. Mentre “Brian ha attivamente rallentato” lo sviluppo di altre soluzioni. In altre parole, Acton si sarebbe messo di traverso, senza proporre una reale alternativa. “A mio avviso, se credi in un percorso – in questo caso lasciare che le aziende paghino per contattare gli utenti – allora lavora duro per dimostrare che il tuo approccio ha valore. Non essere passivo-aggressivo”. Marcus lascia il veleno in coda. “Ditemi pure che sono vecchio stile, ma trovo che attaccare le persone e la compagnia che ti hanno fatto diventare miliardario sia squallido”.
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