AGI – La pandemia e le sue conseguenze hanno avuto fra i tanti effetti collaterali sulla psiche anche quello di far capire ai cosiddetti “sani di mente” che cosa significa avere una psicosi. Lo sostiene Paolo Milone, per 40 anni attivo come psichiatra nel reparto di urgenza dell’ospedale di Genova e recentemente autore del libro L’arte di legare le persone, pubblicato da Einaudi, in questa intervista all’AGI.
Che conseguenze ha avuto la pandemia sui malati psichiatrici?
“Ce ne sono state tante, non tutte negative. La prima a cui penso è il fatto che molti pazienti psichiatrici tendono a mettersi in ‘lockdown’ da soli: ci sono malati chiusi in casa da mesi, da anni. Sono schizofrenici, paranoici, depressi: per loro, che qualcuno dal di fuori obblighi tutti a stare a casa è un alleggerimento di responsabilità, non siamo noi a chiuderci in casa, ma qualcun altro. Discorso opposto per i maniacali che non stanno mai fermi e sfidano continuamente limiti e frontiere: per loro non poter uscire è terribile”.
Quali sono invece gli effetti della pandemia su coloro che non hanno in precedenza avuto patologie di questo tipo?
“Sono soprattutto preoccupato per i bimbi piccoli. Hanno bisogno di stare con gli altri bambini: il rapporto con i genitori è importante per lo sviluppo del cervello, ma i circuiti cerebrali, quelli che creano i sentieri per cavarsela nella vita, si formano nei primi anni di vita giocando con i coetanei. Sono le sinapsi che poi vengono percorse più rapidamente quando si cresce, e se non si formano giocando, creando una propria mimica, imparando a scontrarsi con gli altri, i sentieri non si formano e crescendo si rischia di perdersi nel bosco. Anche quanto giocano con loro, i genitori non bastano a sostituire i compagni nel gioco dei più piccoli”.
E sugli adulti?
“Il cosiddetto lockdown può
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