AGI – Grande è la confusione sotto il cielo del mercato degli smartphone e la situazione è quindi eccellente. Parafrasando la frase attribuita di volta in volta a Confucio o a Mao riusciamo ad avere una vaga idea di cosa sta succedendo tra i numerosi marchi che affollano la palette di produttori cinesi.
E non è un caso che la dottrina confuciana (o maoista, se preferite) sia messa in atto proprio oltre quella cortina che oggi appare insieme più impermeabile e permeabile che mai. Impermeabile ai moniti che vengono dall’Occidente, permeabilissima per quanto riguarda i movimenti di merci.
Restando sulla Cina, sembra che fare incetta di microchip abbia messo le aziende di telefonia al riparo da quella penuria che ha già rallentato i produttori di auto e se si guarda ai dati sulle spedizioni registrati da Canalys, non sfugge che i principali marchi cinesi messi insieme hanno superato la somma di Apple e Samsung: 37% del mercato contro il 33%.
A farla da padrone, in teoria, è Xiaomi, che detiene il 17% e ha sperimentato una crescita dell’83%. Ma se si considera il dato aggregato di Oppo (che include OnePlus e realme) e Vivo, è la conglomerata Bkk a fare la parte del leone, con il 20% delle spedizioni.
Ma siamo sempre nel campo della teoria sia perché le aziende cinesi non brillano esattamente per trasparenza, sia perché, come nel gioco delle tre carte, i marchi passano da qui a lì, si fondono, si inglobano, si scorporano, si riassemblano, si scambiano pezzi e tecnologie e alla fine non si capisce più chi fa cosa e per chi. Un esempio è la partnership (o fusione, o incorporazione?) tra Oppo e OnePlus, che comunque fanno già parte della famiglia Bkk. Grande è la confusione sotto il cielo, per l’appunto, e in questa confusione è facile
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