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(Afp)
Dara Khosrowshahi, amministratore delegato di Uber
Con la scomparsa del giornalista Jamal Khashoggi, gli occhi del mondo sono tornati sulla famiglia reale saudita, accusata di essere la mandante del presunto omicidio. E questo ha ricadute su diversi settori, da quello petrolifero a quello tecnologico. Il principe Mohammed bin Salman e il suo fondo sovrano sono infatti diventati, negli ultimi due anni, grandi investitori in società, servizi e applicazioni digitali. Il Saudi Arabian Public Investment Fund è il principale contributore di Vision Fund, il veicolo controllato da SoftBank con una dotazione di 100 miliardi.
Uber e Slack
La partecipazione più nota è quella in Uber: all’inizio dell’anno Vision Fund è diventato il principale azionista. Ci sono i miliardi di Mohammed bin Salman anche in Slack, l’applicazione per organizzare i gruppi di lavoro condividendo conversazioni, documenti e immagini. Meno conosciuta in Italia ma molto diffusa negli Stati Uniti è Doordash, che consegna cibo a domicilio e compete con Uber Eats, GrubHub, Postmates e Caviar. Tramite Vision Fund, il principe ha investito in Flipkart, la principale piattaforma di e-commerce indiana poi acquisita da Walmart. Sempre nello stesso mercato e nelle sue enormi potenzialità, ha puntato su Paytm (il Paypal indiano) e nella piattaforma per prenotare hotel Oyo. Non solo India: Vision Fund ha investito nell’e-commerce americano con Fanatics, piattaforma specializzata in vendita di prodotti sportivi ufficiali, come le divise di Nba ed Nfl.
Dal software all’hardware
Nel software, il Saudi Arabian Public Investment Fund sostiene Improbable (che sviluppa videogiochi) e Brain Corp (specializzata in sistemi per robot che interagiscono con gli uomini). Nell’hardware nel produttore di chip ARM Holdings e in quello di schede grafiche Nvidia. La mobilità è uno dei grandi settori d’interesse di SoftBank, sia in proprio che tramite Vision. A quest’ultimo appartiene già il maxi-round da 2,25 miliardi in GM Cruise (la divisione di General Motors che punta sulla guida autonoma) e quello in un’altra società americana del settore, Nauto. Presto potrebbe concludersi l’investimento in Grab, la Uber del sud-est asiatico che ha già alla presidenza un ex SoftBank.
Ci sono dollari sauditi anche nell’innovazione sanitaria: nella piattaforma cinese Ping An Healthcare and Technology, nel produttore di farmaci Roivant, nella biotecnologia di Vir e nelle cure anti-cancro innovative di Guardant Health (che si prepara ad andare in borsa). Il fondo sovrano saudita ha partecipazioni (sempre tramite Vision) in WeWork: è una società di co-working che offre spazi e servizi in condivisione. È appena diventata la compagnia che occupa più uffici a Manhattan, superando JP Morgan Chase. I sauditi si ritrovano accanto a Jeff Bezos nel capitale di Plenty, una startup che offre orti “verticali” da coltivare nelle grandi aree urbane.
La protesta di Dara Khosrowshahi
Il Saudi Arabian Public Investment Fund ha sborsato 45 dei 100 miliardi in dotazione di Vision (28 miliardi in debito e 17 in equity). All’inizio di ottobre, Mohammed bin Salman ha rivelato a Bloomberg di essere pronto a puntare altri 45 miliardi in un secondo Vision Fund. Non è la prima volta che l’Arabia Saudita viene accusata di violare i diritti umani. Il caso Khashoggi sembra però aver toccato la Silicon Valley più di altri. Dara Khosrowshahi, ceo di Uber (società controllata da Vision e che ha quindi ampiamente goduto dei dollari di Riyad), ha annunciato che non parteciperà alla Future investment Initiative, summit in programma nellca pitale saudita dal 23 al 25 ottobre e conosciuto come “la Davos del deserto”. Difficile capire se ci saranno ripercussioni sugli investimenti. Ci sono già state sulle azioni di SoftBank, che ha nel fondo saudita il principale partner: le sue azioni hanno perso il 7,3%.
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