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Facebook / Claudia Aiuto
Claudia Aiuto
Non è una pasionaria del Movimento, al contrario: ha sostenuto posizioni critiche su scelte discusse. E l’ha pagata. Almeno a sentire lei, Daniela Aiuto, europarlamentare M5s che ha deciso di lasciare il gruppo dopo essere stata silurata senza appello per una questione di soldi Ue utilizzati per finanziare uno studio copiato da Wikipedia.
In una intervista a La Stampa ha ricostruito la sua vicenda, ma ha soprattutto puntato il dito contro la Casaleggio Associati che accusa di essere la vera cabina di regia del Movimento, al punto da controllare quello che gli eletti possono e non possono scrivere sui social o addirittura come devono o non devono vestirsi. Ecco alcuni passaggi chiave dell’intervista che raccontano la vita nel M5s vissuta dall’interno.
Comunicazione e politica
“Nel Movimento 5 Stelle gli eletti sono al servizio della comunicazione, e non il contrario. Comunicazione fatta di persone di solito provenienti dalla Casaleggio, o scelte lì. Queste persone sono diventate il gestore delle nostre esistenze, non della comunicazione soltanto. Non faccio di tutta l’erba un fascio, nel Movimento ci sono tantissime persone che stimo. Io metto in discussione la subalternità di tutti alla comunicazione, cioè alla Casaleggio”.
Epurazioni
“Entrano nelle nostre vite perché possono decidere il successo o l’affossamento mediatico del singolo eletto. Si è arrivati anche a dire a qualche mia collega come doveva truccarsi o vestirsi. Con me sono arrivati, per dire, a mettermi in pausa, come dicono loro, per due settimane per una foto uscita in un quotidiano locale accanto ad una Miss regionale. Una volta che mi autosospesi, mi fu persino imposto di togliermi una maglia con il simbolo del mio gruppo locale durante la marcia di Perugia per il reddito di cittadinanza. I boicottaggi avvenivano per mezzo e bocca dei leader locali benvoluti dai vertici. Un sistema piramidale che vige a Roma e si ripete in tutte le regioni, col “capetto” e il “vicecapetto” di turno”.
“Io mi opposi a diverse cose, soprattutto fui una delle più critiche sul modo totalmente verticistico in cui avevano gestito la tentata adesione all’Alde. Esternai disappunto soprattutto sulla gestione comunicativa della vicenda. Noi deputati fummo tenuti all’oscuro di tutta la trattativa, portata avanti dai vertici e dal collega David Borrelli, uomo di fiducia di Beppe Grillo, ufficialmente per motivi di riservatezza e per farla andare a buon fine, come se non ci riguardasse. Però si trattava con la nostra faccia e i nostri nomi. Partecipazione, trasparenza, collegialità, tutto sparito. Questo non doveva essere il Movimento”.
Il rapporto con Di Maio
“Io fino al febbraio 2017 avevo un ottimo rapporto con Luigi, a Roma è capitato anche di pranzare insieme, si parlava di quello che noi facevamo in Europa, cosa che giustamente lo interessava molto, ed eravamo diventati quasi amici. Poi è sparito, non mi ha più risposto. Una cosa che umanamente mi dispiace”.
Il casus belli
Aiuto si auto-sospese dopo che alcuni giornali raccontarono che aveva chiesto rimborsi al parlamento europeo per uno studio che sarebbe stato invece copiato da Wikipedia. Si difese sostenendo che aveva incaricato e pagato una società di consulenza, e di essere quindi lei la parte lesa. “Mi recai al cospetto di Davide Casaleggio. Gli spiegai che ero la vittima, e che ero pronta a produrre tutte le evidenze che lo dimostravano. Ero disposta anche a rifondere il Parlamento (come ho fatto subito dopo), nonostante l’assenza di mie responsabilità dirette. Mi colpì la sua totale mancanza di empatia. Non ebbe alcuna reazione. Mi disse di autosospendermi perché lui doveva tutelare l’immagine del Movimento”.
Password e social
Chiesero “a tutti noi eletti di consegnare la password di accesso alle nostre pagine Facebook” per “avere il potere di cancellare qualunque post ritenesse poco opportuno. Io ovviamente non gliela diedi, ma tanti altri sì. Molto del successo del Movimento è stato costruito dalle pagine Facebook ed in generale dall’uso sapiente dei social network. Da quello che capivamo, chi gestiva i profili di Di Maio e di Di Battista era un’unica mente, che poi adattava il tenore dei post alle caratteristiche dei singoli esponenti”.
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