Così i social hanno distrutto la democrazia negli Usa

AGI – Gli americani vivono “in un Paese pieno di fratture e divisioni” e sono “disorientati, incapaci di parlare la stessa lingua o di riconoscere la stessa verità”. E gran parte della colpa è di alcuni social network che, disattendendo le promesse di una maggiore connettività, “hanno tagliato fuori le persone le une dalle altre”. È la tesi esposta da Jonathan Haidt, psicologo sociale alla New York University Stern School of Business, in un lungo articolo su The Atlantic dal titolo inequivocabile: “Perché gli ultimi dieci anni di vita americana sono stati straordinariamente stupidi”.

Haidt paragona la storia recente degli Stati Uniti alla Torre di Babele, dalla sua costruzione, piena di aspettative, alla sua fragorosa caduta. Un’analisi che si inserisce in un contesto in cui tutto sta cambiando nell’universo digitale: dal Metaverso di Zuckerberg al successo di TikTok e Instagram, arrivando ai tentacoli che Elon Musk vorrebbe stringere intorno a Twitter

Lo studioso individua nel 2011, un anno iniziato con la Primavera Araba, caratterizzato dalla diffusione di Google Translate e terminato con il movimento globale ‘Occupy’, il momento in cui la ‘Torre’ dei social è stata eretta. “Siamo stati molto vicini, più di quanto non lo fossimo mai stati, a essere ‘un unico popolo’ e per gli ‘ottimisti tecno-democratici’, sembrava essere il punto d’avvio di ciò che l’umanità avrebbe potuto costruire lavorando insieme”.

Dal 2012 in poi, Mark Zuckerberg e gli altri guru dei social sono riusciti a mantenere la loro promessa di “ricablare il mondo” soprattutto per quanto riguarda “i modi in cui le persone diffondono e consumano le informazioni“. Ma non tutto è filato liscio: a subire le trasformazioni più profonde sono state “le nostre istituzioni” e “il modo di fare politica”.

Ma come hanno fatto?

Per il sociologo americano queste piattaforme hanno indebolito i tre elementi principali che, legati

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