I misteri del Venerdì Santo nella Capitale italiana della Cultura

AGI – Il suono della tromba e del tamburo tornerà a rompere il silenzio delle strade. Dopo due anni di stop che hanno interrotto una tradizione lunga oltre quattro secoli, neppure scalfita dalla peste e dalle guerre mondiali, Procida rivive uno dei suoi riti più sentiti, la processione del Venerdì santo. E lo rivive da capitale della cultura.

Preceduti il Giovedì santo dalla processione degli Apostoli Incappucciati, organizzata dall’Arciconfraternita dei Bianchi, fondata nel 1581 dal cardinale Innico d’Avalos d’Aragona, nella quale, dopo la lavanda dei piedi, dodici apostoli con la veste di confratello si incappucciano e con una croce sulla spalla e una corona di spine sul capo percorrono il centro storico dell’isola preceduti dal centurione, tornano i Misteri, lo spettacolare corteo dei 30 manufatti artistici realizzati con la partecipazione di duemila cittadini sfilerà dal borgo più antico di Terra Murata fino al porto della Marina Grande.

I carri allegorici portati a braccio raccontano episodi del Vecchio e Nuovo Testamento e sono realizzati con cartapesta, legno e altri materiali poveri. La processione affonda le sue radici nel ‘600 e nel vicereame spagnolo, come quasi tutte quelle nel Napoletano e più in generale del Meridione. Ideata dalla confraternita dei Turchini (o meglio, della Madonna Immacolata detta dei Turchini), così detta per il colore del mantello di chi vi apparteneva, fondata nel 1629 dai Gesuiti, insediata nella vecchia chiesa di San Michele, dalla quale nel ‘700 la confraternita emigrò perché divenne proprietaria della chiesa di San Tommaso d’Aquino detta anche sull’isola chiesa nuova, la processione inizialmente era soltanto penitenziale. Battenti incappucciati si flagellavano con il cilicio.

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© Antonello De Rosa/Aniello Intartaglia

 

Allestimento di un carro dei Misteri

Un corteo particolarmente cruento di cui un secolo dopo la chiesa decise temperare la

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