
AGI – “Nel dibattito pubblico c’è un equivoco: che il secolo asiatico sia il secolo cinese. Proprio ciò che la narrativa della Cina di Xi Jinping vuole: tornare sulla scena mondiale schiacciando il resto. Ma non esiste un’unica prospettiva per guardare l’Oriente”.
Se c’è in Italia una conoscitrice dell’universo asiatico, quella è Giulia Pompili. Giornalista, segue per Il Foglio politica e varia umanità dell’Estremo Oriente.
“Temi – dice – che ho approcciato quasi per caso, diventati passione: il Giappone, i liberal d’Oriente. Poi è esplosa la Cina”. La Cina. Eppure nel suo “Sotto lo stesso cielo”, edito Mondadori, Pompili racconta politiche e storie di altri tre Paesi: Giappone, Corea del Sud e Taiwan.
Mentre il mondo parla di Cina: ignoriamo l’elefante nella stanza?
Dal presupposto sinocentrico derivano conseguenze irrealistiche: ignorare l’esistenza di forti attori che hanno una loro identità e ci somigliano come modello istituzionale ed economico.
I paesi di cui tratto – due più Taiwan, che è Paese ma non si può definire tale – sono vicini a noi per via di sistemi democratici frutto di processi lunghi e complicati come quelli che hanno costruito le democrazie europee. Hanno una grossa fetta del mercato dell’Asia orientale, sono interconnessi, e insieme sono la potenza che potrebbe mettere in discussione l’egemonia cinese.
L’egemonia cinese ha influito nel darsi dei fatti di questi due anni? Riguarda anche lei: nel 2019, in visita ufficiale al Quirinale, un funzionario le si rivolse in modo diretto. Il partito di Xi si pone come una divinità, ma la divinità viene a cercarla.
Come tutti gli stati autoritari, la Cina è ossessionata dal controllo di informazioni e crisi. È impossibile pensare che tra il 2019 e il 2020 si sia comportata nel rispetto delle regole di trasparenza e correttezza internazionale.
Si sono avuti ritardi nelle comunicazioni nel tentativo di reprimere chi denunciava una situazione

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