Che cos’è il quantum computing, a cosa serve e perché non è dietro l’angolo

Che cos'è il quantum computing, a cosa serve e perché non è dietro l'angolo

Calma, la rivoluzione dei computer quantistici non è questione di ore. L’orizzonte a cui guardare è quello di un paio di decenni. E non per applicazioni casalinghe (che non è detto ci saranno) ma militari e industriali. Fino a qualche mese fa bastava appiccicare “blockchain” al nome di un’impresa e le sue azioni schizzavano. Per evitare che il quantum computing diventi la bolla del 2019, serve misura: il computer quantistico non esiste e non esisterà ancora per un bel po’. È vero però che non è più fantascienza. Il settore va quindi osservato con attenzione, perché ha potenzialità enormi. Ecco a che punto è la ricerca e come si stanno muovendo gli investimenti.

Cosa vuol dire quantum computing

I computer tradizionali si basano sulla logica binaria. Ogni unità (il bit) è un’alternativa tra 0 e 1. E ogni informazione (più o meno complessa) è elaborata con una (più o meno lunga) sequenza di 0 o 1. Il quantum computing punta invece a sfruttare le proprietà della fisica quantistica, facendo “ragionare” i computer in modo diverso, non lineare. Nel libro “Quantum Computing” appena pubblicato da Egea, Raffaele Mauro, managing director di Endeavor Italia, lo definisce “una sorta di multitasking radicale”. Con una nuova unità di elaborazione: dal bit al qubit. Un problema non viene analizzato in modo binario ma “simultaneo”.

Un computer quantistico, quindi, “non è una macchina che funziona come tante macchine in parallelo”, spiega all’Agi Andrea Rocchetto, ricercatore di quantum computing alla Oxford University. Non è una questione di potenza ma un altro modo di viaggiare (cioè di elaborare le informazioni). Tra il calcolo lineare e quelle quantistico non c’è la differenza che c’è tra una Panda e una Ferrari. È piuttosto quella che passa tra una Panda e un elicottero. In molti casi un’automobile è e resterà il mezzo più efficace. In altri, volare è necessario. “I pc attuali – continua Rocchetto – sono oggetti che seguono regole della fisica classica. Oggi ci sono cose che non possiamo processare in modo efficace con un oggetto costruito in questo modo”. “Problemi che richiederebbero milioni di anni di tempo di calcolo con i computer tradizionali – scrive Mauro – possono potenzialmente essere risolti in poche ore o in pochi giorni”. Sottolineiamo però la parola “potenzialmente”. Perché a oggi non si sa ancora quando né se l’elicottero si alzerà da terra. “Ci sono ancora da risolvere temi non solo ingegneristici ma anche scientifici”, spiega Rocchetto.

Com’è fatto un “computer quantistico”

Ma che cos’è e com’è fatto un computer quantistico? “Cominciamo col dire che cosa non è”, afferma Rocchetto: “Non è un pc impacchettato in uno spazio piccolo. È una tecnologia che non darà vantaggi per qualsiasi problema. Non abbiamo ancora costruito un computer quantistico capace di risolvere i problemi per i quali ci sono vantaggi”. In sintesi: c’è tanta strada da fare. Se si arriverà a un traguardo (“Non è scontato”, dice il ricercatore di Oxford) i pc tradizionali non finiranno nella spazzatura, ma ci sono alcuni settori dove il salto potrebbe essere enorme, come la crittografia o la chimica. Siamo ancora nel campo della sperimentazione, perché mancano gli standard e perché ci sono “almeno quattro tecnologie diverse per costruire un computer quantistico”.

Gli specialisti sono qualche centinaio in tutto il mondo. Oggi, la cosa più vicina a un computer quantistico è un “grosso frigorifero che somiglia a un estintore alto due metri”,-racconta Rocchetto. “Serve per portare la temperatura vicina allo zero assoluto. È quasi vuoto. All’interno ha alcuni cavi che ne costituiscono lo scheletro e un supporto con al centro un microprocessore, dall’aspetto non molto diverso da quelli tradizionali”.  

Chimica e crittografia: i settori interessati

I computer quantistici iniziano dove non arrivano quelli tradizionali. Puntano a risolvere problemi particolarmente complessi, sia velocizzando le operazioni sia definendo simulazioni che obbediscono alle stesse regole della natura. “La meccanica quantistica – spiega Rocchetto – è il meccanismo con cui la natura regola il suo ‘software’”. Se il processore e gli algoritmi “ragionano” nella stessa maniera, allora sapranno capire meglio le sue mosse. Andando nel concreto, una delle applicazioni che pare più alla portata sembra essere quella nel settore chimico-biologico. Le simulazioni potrebbero essere utili per capire le interazioni tra le molecole da utilizzare nei farmaci. Potrebbero produrre in modo più efficiente concimi, sviluppare nuovi materiali. Per farlo potrebbero bastare processori da 100-200 qubit. Oggi, le sperimentazioni più evolute arrivano a 50-75 qubit. Se si riuscissero a raggiungere computer quantistici da migliaia o milioni di qubit, si potrebbero avere simulazioni sempre più complessi e altre applicazioni. Ad esempio intrecciare meccanica quantistica e intelligenza artificiale: “Si pensa – afferma Rocchetto – che una macchina quantistica possa dare vantaggi in termini di velocità al machine learning”. Altro campo interessato è la crittografia, cioè il settore che permette di cifrare un messaggio rendendolo incomprensibile a chi non ha le chiavi giuste per leggerlo. Gli strumenti quantistici potrebbero essere uno strumento per mascherare i propri messaggi e per decifrare quelli degli avversari. In teoria, con una enorme quantità di qubit, si potrebbe anche “bucare” una blockchain, oggi praticamente inattaccabile dai computer tradizionali. “Sono già in corso ricerche di crittografia postquantistica”, afferma Mauro. “Si tratta di applicazioni potenziali ed è verosimile che solo grandi aziende e governi abbiano applicazioni importanti nel breve. Ma va già fatta una discussione sistemica che sollevi anche il tema delle competenze”.

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Geopolitica, tra ricerca e corsa alle armi

La tecnologia sarà anche futuribile, ma prendere posizioni subito – in attesa di applicazioni concrete – è decisivo. Ecco perché la partita non si gioca solo nei laboratori ma anche a livello geopolitico. “C’è già una guerra in corso”, afferma Mauro. L’Ue ha varato il Quantum Technologies Flagship Programme, con investimenti da un miliardo in dieci anni. “L’Europa – sottolinea il managing director di Endeavor Italia – è ben posizionata, ma c’è molto lavoro da fare. Mancano grandi aziende come Google e Ibm. Manca coordinamento, a causa di barriere linguistiche e di mercato, anche nel venture capital”. L’Italia era partita bene, ma non ha saputo coltivare i primi semi. “Ci furono diversi ricercatori che si interessarono di quantum computing nei primi anni ’90”, spiega Rocchetto. Oggi, però, i gruppi di ricerca sono pochissimi e “siamo rimasti indietro” non solo rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna, ma anche a “Olanda, Austria e Svizzera. Tra noi e loro ci sono distanze significative che non si possono colmare nel breve periodo”.

Londra ha avviato un’iniziativa con un budget di 300 milioni di sterline. La Cina ha previsto di creare, entro il 2020, un laboratorio nazionale e un investimento da 10 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti enti di ricerca e grandi gruppi privati stanno accelerando: nel 2018 è stato proposta l’istituzione di una Nasa delle tecnologie quantistiche. Nel 2016 il premier canadese Justin Trudeau descrisse alla stampa alcuni principi della computazione quantistica. Segnali. Lo sono anche le difficoltà con cui i ricercatori stranieri trovano ospitalità all’estero. Se da una parte c’è fame di competenze in possesso di pochi specialisti nel mondo, dall’altro c’è il timore di trasferire altrove i risultati ottenuti in casa propria. “I visti di alcuni ricercatori per entrare negli Stati Uniti – afferma Rocchetto – sono bloccati per timore”.

E non è un caso se tra le istituzioni più impegnate ci siano la National Security Agency americana e l’unità dei servizi cinesi specializzata in informatica. Perché? La ragione di quella che Mauro definisce “corsa alle armi quantistica” è chiara. Alcune delle potenziali applicazioni si indirizzano (direttamente o indirettamente) al settore militare: crittografia (centrale in scenario in cui la guerra diventa sempre più “cyber”) simulazioni aerodinamiche per velivoli più efficaci, intelligenza artificiale più efficiente, nuovi materiali. “La pericolosità di una tecnologia dipende dal suo utilizzo”, sottolinea Mauro. Non è certo una novità che la difesa spinga la ricerca. Anche Arpanet, l’antenata di internet, nacque nel Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Venture capital e startup: nascita di un ecosistema

Si stanno muovendo i centri di ricerca, i governi e le grandi compagnie. Bene. Ma c’è un altro segnale: sta crescendo l’impegno (finanziario) dei venture capital. È un segnale perché si tratta di fondi che hanno l’obiettivo di guadagnare. Le loro mosse, quindi, raccontano la reale presenze di concrete prospettive commerciali. “Si sta costruendo un piccolo ecosistema di grandi società, venture capital e startup in grado di raccogliere capitali importanti”, afferma Mauro. Google ha un team dedicato di 100 persone e ha già sviluppato un “processore” da 72 qubit. Ibm ha raggiunto i 50 qubit e guarda alla costruzione di cloud e piattaforme di servizi basato sul quantum computing. Anche Microsoft ha un proprio programma. I colossi tecnologici cinesi Alibaba, Tencent e Baidu stanno collaborando con gli istituti di ricerca locali. Gli investimenti nel settore hanno raggiunto i 275 milioni di dollari nel 2017. E alcune startup ne hanno raccolti centinaia.

Come Rigetti Computing, che secondo Crunchbase ne ha ottenuti 119. La società, fondata nel 2013, ha fatto una trafila nel gotha della Silicon Valley: è passata da Y Combinator (uno dei maggiori acceleratori al mondo) ed è stata finanziato dal fondo Andreessen-Horowitz. D-Wave ha raccolto più di 200 milioni e vende già dei prodotti quantistici (anche se la loro definizione è controversa). “Negli ultimi decenni – afferma Mauro – il quantum computing è stato finanziato da istituzioni ed enti di ricerca. Negli ultimi cinque anni c’è stata un’accelerazione e oggi ci sono anche i venture capital. Significa che c’è qualcosa di valorizzabile sul mercato.

Tutti i grandi fondi americani di successo hanno almeno una scommessa nel settore quantum”. Certo, i venture capital non sono fondi d’investimento come gli altri: il rischio elevato mette in conto che solo pochi casi di successo saranno in grado di ripagare l’investimento. I venture capital non sono quindi una garanzia di successo ma testimoniano l’esistenza, appunto, di “una scommessa”. Che se funzionasse avrebbe ritorni importanti. Non avremo applicazioni domani. Non avremo sulla scrivania un pc quantistico nei prossimi decenni (o forse mai). Ma, sottolinea Mauro, “oggi non abbiamo più solo teoria ma possibilità concrete”.  

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