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Andreas SOLARO / AFP
Giuseppe Conte
Dopo l’ennesima giornata al cardiopalma il Senato ha approvato la manovra, che dovrà tornare alla Camera per il via libero definitivo il 28 o il 29 dicembre, a poche ore dall’incubo dell’esercizio provvisorio.
Il governo – in notturna – ha incassato la fiducia sul maxiemendamento che recepisce l’intesa con l’Europa con 167 voti a favore, 78 contrari e tre astenuti (tra cui il Cinque Stelle Antonio De Falco), ma le opposizioni hanno battagliato fino all’ultimo (abbandonando la commissione Bilancio e manifestando il loro dissenso in Aula) e il Pd ha annunciato il ricorso alla Corte costituzionale perché – lamenta – ai senatori non è stato consentito di procedere a un solo voto sul testo.
L’ennesimo slittamento dell’ultim’ora
L’ultimo miglio è stato anche il più lungo. L’avvio della discussione generale, prevista per le 14, è slittato alle 20,30. La tensione è salita in commissione Bilancio quando il governo ha annunciato la necessità di modificare il testo presentato per correggere degli errori formali e per stralciare alcune norme per motivi di copertura.
Rissa sfiorata tra governo e opposizione
Una decisione che ha suscitato la reazione dell’opposizione. FI ha lasciato la commissione prima del voto sulla modifica del testo, il Partito democratico ha chiesto le dimissioni del presidente della commissione, Daniele Pesco, Leu e FdI non hanno partecipato al voto.
Più tardi, quando dopo l’ennesima capigruppo il testo è finalmente giunto in Aula, si è sfiorata la rissa allorché i senatori dem si sono avvicinati ai banchi del governo.
Sono volate alcune copie del maxiemendamento e Simona Malpezzi, del Pd, ha accusato la senatrice questore Laura Bottici (M5s) di averle “messo le mani addosso”. Per calmare gli animi il presidente Casellati ha sospeso per alcuni minuti la seduta. Alla ripresa, finalmente, è iniziato l’iter che ha portato all’approvazione del testo.
Cosa c’è nella versione definitiva della manovra
Nella versione finale del provvedimento sono confermate alcune delle misure principali ma arrivano anche delle novità. A partire dalla sforbiciata al fondo per gli investimenti che passa dai 9 miliardi in tre anni inizialmente previsti a 3,6 miliardi. Per il 2019 il fondo scende a 740 milioni di euro (contro i 2.750 precedenti), nel 2020 a 1.260 milioni (da 3.000 milioni) e nel 2021 a 1.600 (da 3.300).
Il governo assicura però che non ci sarà alcun “taglio agli investimenti. Nel passaggio al Senato, le risorse destinate nel prossimo triennio agli investimenti restano invariate, per un valore complessivo di circa 15 miliardi”.
Il blocco delle assunzioni
Confermato il blocco delle assunzioni fino al 15 novembre 2019 per la Presidenza del Consiglio, i ministeri, gli enti pubblici non economici e le agenzie fiscali, mentre per le università è posticipato al primo dicembre, con l’eccezione dei ricercatori a contratto che potranno essere assunti come professori nel corso del 2019.
Saltano dal testo le norme sugli Ncc, ma il governo ha varato un decreto ad hoc per affrontare la crisi del settore che introduce una nuova regolamentazione.
I dubbi sulla previsione di crescita
La nuova versione della manovra ha suscitato i dubbi dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb): la nuova stima di crescita del Pil all’1% per il 2019 (a fronte dell’1,5% precedente) è ora “plausibile, pur presentando non trascurabili rischi di revisione al ribasso”. E i rischi “risultano amplificati se si considerano le previsioni per il 2020 e 2021”.
L’Upb mette in guardia anche sui saldi: senza gli aumenti dell’Iva previsti nelle nuove clausole di salvaguardia, il deficit italiano nel 2020 e nel 2021 arriverà alla soglia limite del 3% “con evidenti rischi sulla sostenibilità futura della finanza pubblica”.
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