Formazione, innovazione, investimenti, infrastrutture adeguate. Dario Gallina, 52 anni, presidente dell’Unione Industriale di Torino e amministratore delegato della “Dottor Gallina srl”, azienda di famiglia, con 160 dipendenti in Italia (circa 220 nel mondo) e 60 milioni di fatturato, non ha dubbi su quale sia la ricetta per dare una svolta al Paese, ma anche alla città di Torino, in questi giorni al centro delle cronache per il dibattito sulla Tav.
“C’è un forte clima di incertezza – osserva – non si può scherzare con il debito pubblico che grava sul Paese e non si può pensare di risolvere i problemi dei giovani e del lavoro con misure di tipo assistenziale”.
Il riferimento neanche troppo velato è al reddito di cittadinanza voluto dal governo?
“Certamente, non è a nostro giudizio una misura che può funzionare, quello che serve è più formazione per i giovani e misure per le aziende per incentivare l’occupazione. Io stesso sto cercando alcune figure da assumere e non riesco a trovarle. E non sono certo il solo, è un ‘esperienza che condivido con molti miei colleghi”.
Sulla manovra quindi continua ad esserci un giudizio di più ombre che luci?
“Non siamo contenti: servirebbe una spinta forte all’industria, all’economia, dal punto di vista degli investimenti che sono pochi per fare ripartire il Paese. Il piano Industria 4.0 stava funzionando, stava consentendo alle imprese di rinnovare il proprio parco macchine ma non sembrano esserci sufficienti conferme in proposito. Così non va”.
In queste settimane anche sulle infrastrutture, in particolare sulla Tav vi siete fatti sentire. Come giudica la risposta avuta?
“Senza opere come la TAV e il terzo valico Torino il Piemonte rischia di finire su un binario morto, di essere senza prospettive, di essere tagliato fuori dalle grandi direttrici dello sviluppo. Torino ha invece bisogno di una spinta forte, in primo luogo ha bisogno della Tav. L’atrofizzazione di questo territorio mi spaventa tantissimo”.
Sulla Tav avete contribuito non poco alla buona riuscita della manifestazione in piazza del 10 novembre. Vi aspettavate una risposta così massiccia?
“Direi che l’esito della manifestazione non è stato solo buono, ma ottimo, certamente al di là delle nostre più rosee aspettative. Questo grazie anche al lavoro delle “madamin” che sono state bravissime ad organizzare l’evento. Credo che il significato della giornata sia duplice: in primo luogo la gente comune vuole la Tav ne capisce l’importanza e rifiuta l’idea di interrompere un’opera già iniziata. L’altro elemento emerso è il rifiuto all’idea – ma sarebbe forse meglio dire all’ideologia- del declino. Torino non si piega alla decrescita, ai NO a tutto; vuole reagire e costruire un nuovo modello di sviluppo. E questo vale anche per il Paese, che sta rischiando moltissimo. E che invece vuole risollevarsi, vuole nuovi posti di lavoro, vuole sviluppo e benessere. Non declino”.
Ora però si dice che gli industriali siano disposti a fare un passo indietro in cambio del riconoscimento per Torino di area di crisi industriale complessa
“No, non credo proprio. Questo discorso su Torino come area di crisi industriale complessa o non complessa è, al momento, priva di qualsivoglia consistenza, in quanto in base ai criteri stabiliti dalla Legge Torino non rientra né in una tipologia né nell’altra. Quindi non c’è nulla di concreto, solo un po’ di “fumo”. Inoltre la questione non riguarda il Comune ma il Governo e la Regione”.
In questo senso, per voi industriali anche la mancata candidatura della città alle Olimpiadi del 2026 resta un boccone amaro?
“Certo. Sicuramente c’è stato un atteggiamento di debolezza da parte di chi aveva la responsabilità rinforzato da un Governo che non è stato in grado di prendere una decisione. Insomma, veramente un “bel mix”. Io spero che se ancora c’è qualche possibilità si faccia di tutto perché Torino abbia un ruolo in questa vicenda”.
Sulla Tav avete alzato la voce e vi siete fatti sentire ma come industriali in che modo puntate sul rilancio di Torino?
“La città continua ad avere tutte le carte in regola per essere protagonista di un rilancio, soprattutto dal punto di vista dell’innovazione, delle tecnologie di ultima generazione. Parlo del Competence Center, del Manufacturing Technology Center, un’area di 50mila metri quadri in cui troveranno spazio innovazione e formazione, che dovrà diventare anche Polo attrattore di imprese straniere. E non solo; a Torino abbiamo importanti Atenei, a cominciare dal Politecnico e le caratteristiche per essere città universitaria per la quale però servono spazi abitativi e per gli studenti e, soprattutto, servono iniziative. Infine, Torino stava diventando sempre più città della cultura, del turismo, una vocazione che va alimentata, mentre ora scarseggiano i grandi eventi. Noi industriali siamo scesi in campo, pronti a collaborare con tutti gli attori, ma – veramente – serve la volontà di imprimere una spinta supplementare. E questo vale per Torino, vale per il Paese, che meritano entrambi di più”.
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