Le relazioni pericolose tra la politica Usa e i big della tecnologia

Le relazioni pericolose tra la politica usa e i big della tecnologia

SAUL LOEB / AFP

Il Campidoglio

“Il 99% di House of Cards è vero. L’1% è falso perché è impossibile far approvare così in fretta una legge sull’istruzione”. Pare che, qualche anno fa, l’ex presidente Bill Clinton abbia confidato a Kevin Spacey il gradimento per la serie che racconta gli intrighi della politica statunitense. In quel 99% c’è anche Remy Danton, un lobbista che era stato a capo dello staff di Frank Underwood-Spacey. O almeno è quello che suggerisce l’archivio di Opensecrets.

Per l’organizzazione che traccia l’attività di lobbying negli Stati Uniti, Congresso e gruppi di pressione sono divisi da “porte girevoli”. La metafora rende bene l’idea della facilità con cui i due mondi comunicano. Forse però i numeri lo fanno ancora meglio. Attualmente, sette ex membri del Congresso lavorano per una delle cinque maggiori società tecnologiche. E 63 lobbisti assunti o incaricati da Amazon, Apple, Microsoft, Facebook e Alphabet hanno un passato nello staff di chi oggi è seduto in Senato o alla Camera dei rappresentanti. Senza grandi distinzioni politiche.

Dagli incarichi federali alle lobby

In pratica, un parlamentare statunitense su dieci ha un ex collaboratore pagato dalle “Big 5”. Se poi ci si allarga dai membri degli staff a chiunque abbia o abbia avuto un ruolo federale, si arriva a 344 incarichi sui 429 totali (il numero dei lobbisti è di poco inferiore perché alcuni lavorano per più di una società). Oggi, quindi, l’80% dei professionisti ingaggiati dalle principali compagnie tecnologiche hanno fatto parte di comitati, organismi di controllo e uffici con i quali è molto probabile che si confrontino, questa volta dall’altra parte del tavolo.

Arruolare questi profili non è prerogativa esclusiva di Silicon Valley e dintorni. Negli Stati Uniti l’attività di lobbying è istituzionalizzata, come dimostra il fatto che questi dati, spulciando, sono aperti e reperibili. Ma colpisce comunque la frequenza con cui politica, gruppi di pressione e grandi società si scambiano competenze. Porte girevoli, appunto. Attraversate da assistenti, consiglierei, addetti alla comunicazione. E da chi, per anni, è stato a capo dello staff della speaker Nancy Pelosi o del vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence.

Sette ex parlamentari per Amazon e Microsoft

Sette ex membri del Congresso si sono dati, più o meno di recente, alle lobby. Quattro lavorano oggi per Amazon, tramite incarichi che passano da tre società esterne. Vic Fazio ha avuto un posto alla Camera dei rappresentanti tra il ’79 e il ’98. Democratici come Fazio sono Kendrick Meek e Norm Dicks.

Il primo è stato membro della Camera tra il 2003 e il 2011. Ha poi fatto parte della delegazione Usa all’Onu. È un lobbista dal 2017, e rappresenta – tra gli altri – anche British American Tobacco.

Dicks è stato alla Camera dal 1976 al 2012. Poi la nuova esperienza professionale e l’incarico di rappresentare Amazon, ma anche Expedia e Boeing.

L’unico repubblicano del gruppo è Ander Cranshaw, alla House of representatives dal 2001 al 2017. Gli altri tre ex parlamentari lavorano per Microsoft. Steve Buyer, repubblicano, è stato alla Camera dal 2001 al 2010. La società di Redmond risulta essere il suo unico cliente. Caso curioso: se l’incarico a Buyer passa da una società esterna (10 Square Solutions), tra i lobbisti assunti direttamente da Microsoft c’è Michael Copher, che è stato capo staff di Buyer ai tempi della sua carriera politica.

L’esperienza parlamentare di Benjamin Quayle, un altro repubblicano, si è consumata tra il 2010 e il 2012. Molto più folta pare quella da lobbista. Si sono affidati a lui ben 27 clienti, tra i quali Bayer e Garmin.

Alla Camera ci ha invece passato quasi trent’anni il democratico Howard L. Berman. Dal 2013 è passato alle lobby. Nel 2019 non ci sono altri ex membri del Congresso al servizio delle grandi società tecnologiche. Facebook ha però collaborato per anni con il repubblicano John Shadegg (alla Camera dal ’95 al 2011) e Alphabet si è avvalsa fino allo scorso anno di Susan Molinari, altra repubblicana che dal ’90 al ’97 ha rappresentato lo Stato di New York. 

La squadra più numerosa: Microsoft

L’intreccio si amplia quando si guarda ai lobbisti che hanno fatto parte dell’entourage dei parlamentari in carica. Tutte le società integrano il proprio ufficio di rappresentanza con professionisti pescati tramite società esterne.

Per Microsoft sono in tutto 110 persone, costate quest’anno 7,8 milioni. Ben 90 hanno nel proprio curriculum incarichi federali. Il loro passato è legato a 27 membri del Congresso. La matassa non si esaurisce in questi numeri. Basti pensare a chi non è incluso in questo conteggio: gli ex parlamentari o chi ricopre ruoli di prestigio pur non facendo parte del Congresso. È il caso dei governatori. O del vicepresidente degli Stati Uniti. Il suo capo staff per oltre dieci anni, William Smith, lavora per Microsoft.

Nella squadra ci sono altri cinque lobbisti che hanno ricoperto lo stesso ruolo per altri politici. Michael Hutton è stato accanto al senatore Robert Menendez per vent’anni. Quasi due decenni è durata anche la collaborazione tra William Hollier e il senatore repubblicano Mike Crapo. In alcuni (rari) casi, i ruoli convivono: Jeffrey Alan Shapiro, lobbista sia per Microsoft che per Facebook, risulta ancora oggi capo dello staff del rappresentante repubblicano Adrian Smith.

Facebook e lo staff di Nancy Pelosi

Quest’anno Facebook ha già speso 12,3 milioni. Gestisce una rete di 69 lobbisti, 58 dei quali con un passato federale. Nonostante una squadra più contenuta, Menlo Park spende molto (solo Amazon sborsa di più) e ha una scuderia legata a 22 membri del Congresso. In sette casi si tratta di ex capo staff. Luke Albee ha fatto addirittura doppietta democratica, essendo stato prima il braccio destro di Patrick Leahy, poi di Mark Warner.

Ma Facebook ha attinto soprattutto dai collaboratori di Nancy Pelosi. Sono tre quelli che oggi lavorano per il gruppo. Dean Aguillen (consigliere della speaker della Camera dal 2002 al 2007) e Shanti Stanton sono stati ingaggiati passando da società esterne. Ma c’è anche un caso di assunzione diretta, non proprio marginale. Uno dei 12 lobbisti che lavorano solo per Facebook è Catlin O’Neill, capo dello staff di Pelosi per dieci anni, tra il 2003 e il 2013.

Nessuno spende quanto Amazon

Nessuno, quest’anno, ha speso in lobbying quanto Amazon tra le società tecnologiche: 12,4 milioni di dollari. Risorse che pagano 101 professionisti, in 69 casi con incarichi federali nel proprio passato. Una rete che riconduce a 20 parlamentari in carica. Per quattro di loro, i lobbysti di Amazon sono stati capo staff. Non fanno parte di questo conteggio (perché il loro assistito non è un parlamentare in carica) Steven Elmendorf, vice manager della campagna presidenziale di John Kerry (nel 2004), e Barry LaSala, che di Kerry è stato consigliere tra il 2003 e il 2007.

I 108 lobbisti di Alphabet 

Anche la squadra di Alphabet, la holding cui fa capo Google, è numerosa: 108 lobbisti, sostenuti con 9,7 milioni di dollari. Quelli passati dalle porte girevoli sono 90 e riconducono a 20 parlamentari. Una miscela di repubblicani e democratici che ha regalato alle lobby ben sei capo staff.

Tra i quali Kyle Simmons, per 15 anni accanto al republicano Mitch McConnell. Segni particolari di questo senatore (eletto per la prima volta nel 1984): dai suoi uffici è passata la bellezza di 58 ex o attuali lobbisti. David Quinalty non è stato alle dipendenze di attuali parlamentari. Ma per otto anni è stato un funzionario di vertice del Comitato per il commercio, la scienza e i trasporti del Senato. Nel 2017 è diventato l’unico lobbista assunto da Waymo, la società di Alphabet specializzata nella guida autonoma.

Apple, ingaggiati sei ex capo staff

Apple è più parsimoniosa: ha speso 5,5 milioni nel 2019 e conta su 41 lobbisti. Quasi tutti (37) hanno un passato tra commissioni e uffici federali, 11 un legame con senatori e rappresentanti in carica. Walt Kuhn, ex capo consigliere del senatore repubblicano Lindsey Graham, è un dipendente della Mela. 

Anne Macmillan è stata consigliere di Nancy Pelosi per due anni. Billy Piper assistente speciale del senatore Mitch McConnell (sempre lui) per vent’anni. L’anomalia è Robert Seidman: fa il lobbista, oltre che per Apple, anche per Verizon, Walt Disney e Dropbox.

Secondo l’archivio di Opensecrets, non risulta aver abbandonato l’incarico di “policy director” per la senatrice repubblicana Marsha Blackburn. Remy Danton è un personaggio di fantasia inventato per House of Cards. O forse no.

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