
AGI – Se si vuole fare un torto a un autore, basta cercare di trasformarlo nell’espressione locale – o, meglio, territoriale – di un fenomeno universale. Perché non solo si codifica e quindi si ingabbia la sua esperienza, ma gli si impedisce in un modo quasi sempiterno la possibilità di diventare egli stesso un fenomeno universale.
Il torto del tutto involontario di Nicola Pugliese è quello di essere uscito allo scoperto come scrittore in un’epoca in cui l’esercizio della associazione era già in voga tra i critici. Come nel Memory, si scopre un’opera e si va subito a cercare tra le altre tessere capovolte quale altra opera o quale altro autore ci ricorda. Magari bisogna scoperchiare più d’una tessera, ma quando si crede di averla trovata è tutto un’eureka, perché si è data una spiegazione a un fenomeno che un tempo non ci si sforzava di spiegare, ma si godeva e basta: l’incanto della lettura.
Così ‘Malacqua’, romanzo che il giornalista scopertosi scrittore aveva buttato giù in quarantacinque giorni di ipnosi creativa, poteva ambire a diventare un’opera universale, ma la fretta di comprenderlo – e quindi codificarlo e ingabbiarlo – lo ha impedito. La critica gli ha attribuito gli aggettivi ora kafkiano, ora joyciano, negandogli l’unico che si sarebbe attagliato: pugliese (o pugliesiano, per non confondersi con questioni regionalistiche).
E la stessa sorte ha avuto il suo autore: Nicola Pugliese è stato accostato a J.D. Salinger perché deve la sua fama a un’opera e una soltanto, dopo la quale si ritirò in un eremo, non del New England, ma dell’Irpinia.
Dall’isolamento del bar di Avella uscì solo per la pubblicazione, più di trent’anni dopo, di una raccolta di otto racconti che consolidarono il parallelo con l’autore del ‘Giovane Holden’ e con i suoi ‘Nove Racconti’.
‘Malacqua’ è come una di quelle vecchie

Continua a leggere – Fonte dell’articolo
Messaggi simili:
- None Found