
AGI – Qual è la linea di demarcazione che separa la coscienza critica dal complottismo? Non esistendo uno strumento per determinarlo, è una di quelle decisioni che resteranno in eterno nell’arbitrio ora dei media mainstream, ora delle nicchie di controinformazione, ognuna delle quali si attribuirà la prevalenza e se la vedrà attribuita dai propri sostenitori.
Partendo quindi dalla vetusta idea che nessuno è profeta in patria, tutto quello che si può fare è rileggere col senno di poi libri che quando furono dati alle stampe qualcuno aveva etichettato, per l’appunto, come ‘complottisti’.
Uno di questi è ‘Putinfobia’, di Giulietto Chiesa, pubblicato nel 2016 all’indomani dell’annessione della Crimea alla Russia e dopo lo scoppio ostilità nel Donbass. Piemme lo riporta in libreria (192 pagine, 10,90 euro), sei anni dopo la prima edizione, con una prefazione di Fiammetta Cucurnia, corrispondente da Mosca per Repubblica e per 40 anni compagna di Chiesa, che denuncia il clima di ostilità in cui venivano accolti i suoi scritti e le accuse, di volta in volta, di essere “complottista”, “agente del Kgb” o “putiniano”.
Nella sua introduzione Cucurnia parla di “esattezza” e “precisione” delle tesi di Chiesa, “fino a prevedere anche l’espulsione della Russia dal sistema SWIFT”. Per chi ci crede, anticipazioni di un visionario, per gli scettici solo la casuale prevedibilità degli eventi. Ma che Giulietto Chiesa fosse allarmato dalla crescente tensione tra Occidente e Russia lo dimostra anche il riferimento alla “sensazione che si stiano preparando avvenimenti radicali, cruciali, di quelli che possono lasciare il segno per generazioni e generazioni. Forse addirittura per sempre”.
Salvo poi cadere in una ingenuità, dicendo che la Russia è per “i vertici dell’Occidente l’unico Paese – l’unico Stato, l’unico popolo – che può (…) fargli paura, visto che dispone di un apparato militare equivalente, in grado di distruggerlo”, dimenticando che – come si è visto negli ultimi anni

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