Quando la Storia si faceva (anche) al Caffè

AGI – Non solo luoghi turistici né pregiati e ormai sparuti angoli della Penisola dove una visita è sempre consigliabile e gradevole. I Caffè italiani sono stati gli spazi in cui si è modellata la socialità urbana e si è intessuta spesso anche la storia politica e culturale negli ultimi duecent’anni e più. Si sostituirono o s’affiancarono, aprendo al pubblico, ai salotti aristocratici dove l’ingresso era possibile soltanto per elitario privilegio. Ma non solo: i Caffè s’aprirono alla frequentazione delle donne favorendo l’emancipazione femminile. Favorirono lo scambio di opinioni, il confronto delle idee, la circolazione della cultura grazie alla diffusione dei giornali, delle arti visive e della musica. Furono, quei Caffè, i santuari accessibili alla borghesia italiana, qualche volta anche al popolo, e furono santuari, come il padovano Pedrocchi, “senza porte” (perché restava aperto giorno e notte).

È una guida fruibile anche dal semplice turista, o dai curiosi di storia e storie, quella che Massimo Cerulo, docente di Sociologia nell’Università di Perugia, ha appena pubblicato: Andare per Caffè storici (152 pagine, 12 euro, ed. Il Mulino). Ma è soprattutto un excursus politico, estetico e sentimentale che si dipana lungo otto città italiane dove restano ancora attivi molti di quei Caffè: Venezia, Padova, Torino, Trieste, Firenze, Roma, Napoli e Cosenza. Se ne dovesse riassumere in una frase, o slogan, la filosofia, la più efficace sarebbe quella scelta a titolo dell’introduzione: “Entrare senza essere invitati”. 

quando la storia si faceva al caffe
 tazzina di caffe’ (Agf)

 “Nei Caffè ci si poteva informare sulle novità cittadine, discutere animatamente, prendere posizioni politiche, tramare intrighi, generare gruppi o associazioni, concludere affari”, scrive Cerulo. Altro che molti bar della contemporanea quotidianità, ove tutto questo non avviene più o avviene in chiave minore e desolata per fretta, sciatteria o bruttezza salvo felicissime eccezioni. Invece in quei Caffè, aggiunge senza nascondere entusiasmo l’autore, si poteva pure “scrivere

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