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Da una parte chi vuole sfruttare l’enorme mercato cinese, a qualunque costo. Dall’altra chi non lo accetta, ma è destinato a soccombere. All’interno di Google c’è una guerra interna. La causa è “Dragonfly”, il progetto che vuole riportare il motore di ricerca in Cina, obbedendo ai vincoli della censura di Pechino.
Le “decisioni non etiche” di Google
Nella sede di Mountain View c’è un fronte della trasparenza. Soffocato però dai vertici, che vogliono far piegare il capo ai discoli per chinare il proprio davanti al partito comunista. Lo scenario è emerso da una lettera inviata alla Commissione per il commercio, la scienza e i trasporti del Senato Usa dall’ingegnere Jack Poulson, dimessosi il 31 agosto. La scelta di lasciare la compagnia sarebbe stata legata proprio alle “decisioni inspiegabili e non etiche dei vertici dell’azienda, culminate nel rifiuto di divulgare informazioni sul progetto Dragonfly”. Del quale dice di aver saputo solo il primo agosto dalla stampa.
I due fronti di Mountain View
Poulson afferma che i manager di punta “bloccheranno” ogni tipo di investigazione interna che porterebbe alla luce il progetto costruito su misura per la Cina. Nonostante la presenza di “discussioni interne”.
Ci sarebbero infatti molti dipendenti scontenti, la cui voce è destinata a essere “soffocata”, anche perché temono di venire allo scoperto. “Non posso parlare per gli altri – spiega Poulson – ma condivido la loro paura delle possibili conseguenze”. Il motivo della lettera, riportata integralmente da Business Insider, è proprio la debolezza della resistenza interna. L’ex ingegnere di Mountain View spera che “la Commissione possa aiutare a tutelare i futuri whistleblower, compiendo azioni per garantire trasparenza etica nella Silicon Valley”. Chiede, in pratica, che il Senato protegga da ritorsioni i dipendenti che denuncino. In Google e non solo.
I dettagli di Dragonfly
Poulson chiede alla Commissione di convocare Google per avere chiarimenti sul progetto Dragonfly e sulle sue implicazioni sui diritti umani. Giusto concentrarsi, come è stato fatto negli ultimi mesi, su privacy e gestione dei dati. Ma sarebbe il momento di andare oltre. “Vista la portata e l’impatto sociale dei sistemi tecnologici utilizzati da Google e da altre società – scrive l’ingegnere – è urgente una maggiore supervisione e responsabilità non solo sui dati ma anche sui sistemi progettati e distribuiti sulla base di tali informazioni”.
Nella lettera sono presenti anche alcuni dettagli del progetto cinese fino a ora inediti. Che fanno intuire quanto la censura sarebbe pervasiva. Il motore di ricerca avrà, internamente, la possibilità di capire cosa ha cercato un utente, legando le sue richieste al suo numero di telefono. Un lasciapassare per un tracciamento continuo, che potrebbe portare le autorità a puntare gli occhi su un cittadino per aver digitato frasi poco gradite a Pechino. Ci sarebbe una “lista nera” di parole e link proibiti, tra i quali “diritti umani”, “protesta studentesca” e molte ricerche legate al presidente Xi Jinping e ad altri membri del partito comunista. Lacci anche sull’ambiente: agli utenti cinesi sarebbero accessibili solo i dati sulla qualità dell’aria certificati dal governo.
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